Toc-toc…c’è qualcosa di magico nel lavoro creativo?! Certo che si! Diciamo che la creatività è insita nell’essere umano: per sopravvivere e vivere in buona compagnia, da sperimentare passando all’azione, nei nostri bisogni e desideri, considerando e coinvolgendo gli altri.

Una descrizione ‘seria’ è quella di Poincaré che definisce la creatività come capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili. Per riconoscere l’utilità della combinazione nuova è “che ci sia  bellezza’’ non in senso strettamente estetico, ma di qualcosa che ha a che fare con l’eleganza per come la intendono i matematici: armonia, economia dei segni, rispondenza funzionale allo scopo.

Per me il passo è breve per disturbare anche il ‘gusto’ (non però come senso) e prendo spunto all’articolo segnalato da Frizzifrizzi di Elizabeth Goodspeed

La questione del gusto nel mondo del design, sia per la sua mancanza che per la sua necessità è ciò che consente ai designer di navigare nel vasto mare di possibilità offerte dalla tecnologia e dalla connettività globale e di selezionare e combinare questi elementi in modi che idealmente, si traducono in un lavoro interessante e unico, con strumenti basati su modelli, AI (che non genera gusto) e competenze tecniche più accessibili…Ho scelto di tradurre alcuni pezzi dell’articolo, che mi trovano d’accordo:

”Nel design, il buon gusto può essere quello di sapere quale vecchio carattere tipografico riportare, con quale fotografo lavorare o quando smettere di usare un certo colore popolare. Sapere quando appoggiarsi o uscire da una tendenza o un dettaglio particolarmente adatto, se si considera che l’adozione di massa di un’estetica tende a comportare la perdita di valore. Quando il gusto viene implementato in modo efficace, funziona come un buon marchio…

Il buon gusto può sembrare emergere naturalmente, sia come prodotto di un’educazione colta che di una freschezza innata. In pratica, è raramente presente per caso. Richiede lavoro. Sebbene sia spesso espresso attraverso un singolo output (interior design o illustrazione) è in genere modellato dall’esposizione a una varietà di input diversi. Un tema comune ascoltato tra i creativi iconici e di buon gusto è quanto spesso guardano fuori dal proprio campo per l’ispirazione…l’ascesa delle piattaforme di condivisione dell’ispirazione possano renderci più concentrati sulla pubblicità del nostro gusto piuttosto che nutrirlo.

Tyler Bainbridge, ha affermato che “tutti vogliono sentire che il loro gusto è importante”. Ma se tutti sono un tastemaker, qualcuno lo è? O abbiamo semplicemente manifestato un culto della cura in cui l’apparenza di avere buon gusto è fine a se stessa? La paura di sviluppare un gusto “cattivo” o che diverge dal mainstream, può paralizzare i creativi soffocando la loro crescita creativa…

Forse lo sviluppo del gusto non è poi così diverso dall’andare in terapia; è un processo inefficiente e dispendioso in termini di tempo che comporta principalmente lo sguardo verso l’interno e l’identificazione di ciò che già ti muove. È il prodotto di divorare idee, immagini e pezzi di cultura non perché a qualcuno che rispetti piacciano, ma perché semplicemente non puoi distogliere lo sguardo. 

Svilupparlo è un esercizio di vulnerabilità: richiede che ti fidi dei tuoi istinti e preferenze, anche quando non si allineano con le tendenze attuali o con quello dei tuoi coetanei. Perché mentre avere gusto è bello e riflette un certo tipo di serietà non cool: un impegno per le proprie ossessioni e stranezze. Trova il tuo gusto; tutti gli altri alla fine lo raggiungeranno, forse non l’AI.”

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