Illustrazione diToon Joosen, Clean up…
Le piccole pulizie di primavera
(spunto preso da un articolo di Matteo Saudino professore di filosofia)
Come ogni anno l’arrivo della primavera porta con sé, oltre alle rondini (che sfidano anche il cambiamento climatico) il ‘rito delle pulizie’ assieme ai buoni propositi. E’ un’iniziativa che riguarda soprattutto il mondo degli adulti…magari è la scusa per non attuare i piccoli cambiamenti nel mettere ordine alla propria vita, impresa più ardua con effetti meno visibili a breve termine. Mi è piaciuto il paragone dell’impossibilità di attuare le funzioni ‘pulisci e ottimizza’ come negli smartphone. Platone consigliava di prendersi cura dell’anima per poi riordinare la mente e farla funzionare (al riparo dalle fake news) per comprendere ed essere consapevoli che bisogna spesso sistemare e non lasciare alle situazioni e agli altri ciò che è in nostro potere e che vale la pena di vivere.
Considerazione del vivere il reale nell’idea ‘catastrofica’ di come non stiamo reagendo a una certa ma assurda realtà con dinamiche evidenziate nel libro ‘Le non cose’ di Byung-Chul Hang, filosofo e docente sudcoreano
Vogliamo diventare giocatori: la vita non è una realtà dagli aspetti drammatici che ci spinge ad agire ma un gioco per divertire. Percepiamo la realtà tramite lo schermo e lo smartphone…
Le ‘cose’ sono i punti fermi dell’esistenza, mentre le informazioni non lo sono: hanno una validità limitata e richiedono la nostra attenzione. Produciamo e consumiamo più informazioni che cose. Ciò che conta è l’effetto nel breve periodo: l’efficacia sostituisce la verità. Nel sapere relativo, prendiamo nota senza imparare a conoscere, viaggiamo senza fare vera esperienza, comunichiamo senza prendere parte a una comunità. Salviamo una quantità di dati senza far risuonare i ricordi. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e durata.
La libertà di azione nella libera scelta consumistica. Gli odierni beni di consumo sono indiscreti, invadenti e ciarlieri. Idee ed emozioni precotte. Il capitalismo delle informazioni conquista i vari angoli della vita.
La differenza tra cultura e commercio va scomparendo: i luoghi di cultura si consolidano nei termini di marchi redditizi. La storia di un luogo viene invasa dallo ‘storytelling’ che la rende fonte di valore aggiunto. La cultura diventa merce, provocando la distruzione della comunità.
La community, evocata dalle piattaforme digitali, diventa una forma merceologica di comunità e come merce, cessa di esistere. La comunicazione è senza corpo e sguardo, corresponsabile della perdita di empatia. Le immagini digitali trasformano il mondo in informazioni che c’influenzano e ci distraggono. Digitando sottometto il mondo ai miei bisogni, con l’impressione di una totale disponibilità.
Il capitalismo neoliberista nel suo regime è smart; non opera mediante ordini e divieti ma ci rende remissivi tramite una dipendenza drogata, che appaga i bisogni, piacendoci. Non ci impone il silenzio, ma insistentemente richiede di esternare opinioni, preferenze e desideri, rappresentando la propria vita. L’iper-comunicazione nel suo rumore sovrasta il silenzio e ciascuno riproduce se stesso e non sta in ascolto.
Penso che possiamo comunque avere la capacità di scegliere e prendere il dovuto e voluto distacco da tale ‘incastro‘

Dalle ‘non cose’ alle ‘cose curiose’… un pizzico di leggerezza dal 📕 ‘Tante care cose’ di Chiara Alessi (esperta di design)
Le cose sono concentrati di racconti, memorie, odori, affetti, transizioni, ricordi. Quando si perde un oggetto o lo si lascia andare, si avverte uno smarrimento che non coincide solo con la perdita del suo valore economico. Come direbbe Sartre – il passato è un lusso da proprietario – perdiamo proprio un pezzo di passato…il possedere nell’avere un passato, come una casa, a cui fare ritorno e in cui rifugiarsi ma anche da cui guardare fuori, spostarsi, evolvere e a un certo punto, da abbandonare.
Conoscerne la storia, le ragioni, le curiosità…le possediamo già da qualche parte, in testa, nella memoria delle mani, in una fotografia, nel ricordo di una scena che ci hanno raccontato. Eventualmente anche i nomi propri: la maternità, cioè la storia che li ha generati e la paternità, cioè l’autore. In certi casi sapere le date di nascita e i luoghi, per esempio, per ricordarci che alcuni di quegli oggetti che pensavamo essere sempre stati lì invece sono arrivati solo a un certo punto e con delle ragioni precise.« Tante care cose » è un modo tipico di congedarsi quando ci si saluta. È un buon auspicio. È come dire « stammi bene ».
la risposta più nostalgica e sentimentale delle 3 ‘cose’ che portate con voi e che non potete dimenticare…
